lunedì 21 maggio 2007

ROMA. RISTORANTE IL PAGLIACCIO
















Bene, alla fine si fa, e si va. Era un po’ che volevamo tornare al Pagliaccio. Ci eravamo capitati qualche anno fa, invitati a una cena di lavoro. Sorpresa: un ristorante romano nel quale non si mangiava male! E per di più, in un’occasione, l’efferata tavolata, dove spesso accadono le peggio cose. Poi ne abbiamo sentito parlare. Giovane chef, moglie pasticcera eccetera. Facciamo passare un po’ di pigro tempo, quindi una sera prenotiamo.

Impressione che sia cambiato qualcosa. Il giovane maître ci dice che sì, qualcosa è cambiato. In effetti è un po’ più ristorante, un po’ meno trattoria. Vedo davanti a me una parete di rossi velluti, dei segnaposto di pietra grigia. Ma sì, può andare.

In sala c’è del personale giovane, con voglia di fare. Pochi tavoli occupati. E’ un tranquillo mercoledì.

La cena procederà tra alti e bassi; l’impressione è che la cucina sia un po’ così, fatta di curve strette prese di corsa, zig zag, contrasti. Ma anche che alcuni piatti vadano ancora calibrati, provati. L’amuse bouche di crocchette di baccalà e zenzero su dadolata di avocado ha le crocchette un po’ toste di buccia e molto sapide (mio dio, penso alle delicatamente croccanti crocchette de Ai Storti…), ma l’insalatina di avocado è molto, molto intrigantemente condita.

Il pane, che non viene presentato, ha delle cialde di una sorta di carta da musica spessa e tosta, dei panini fritti, una fetta di integrale, dei grissini ritorti. Bah.

La cappasanta atlantica e polputa è perfettamente cotta, accanto un indovinato manzo con salsa teriaki, gocciole di frutti tropicali, croccantini fritti cinesi.

Buoni i ravioli con foglia di spinaci e ripieno di canocchie, sontuosi di sapore e polpa. Ma il gustoso brodo di astice è un po’ abbondante, li fa alquanto affogare. E poi non apprezzo il grasso orlino arancione del brodo, né lo spumoso ragno di bianco d’uovo.
Ripenso il piatto: meno brodo, ciotola arancio, il bel verde dei ravioli che spicca, niente bianco d'uovo, ma qualche fior di borragine viola. Non meravigliatevi. Spesso, l’occhio vacuo e la mente persa, rifaccio arredamenti di ristorante e aggiusto piatti. Qui ho tolto anche qualche quadro dalle pareti.

Finalmente arriva un piatto che mi piace moltissimo: triglie - belle, con la loro livrea rossa strinata - con dadini di pera caramellati e un aereo parrucchino di lieve insalatina, fantastica di segreti aromi e fascinosi risuonanti sapori. Quest'uomo pare sappia condire le insalate con tocchi afrodisiaci. Crema di porro, tortino di patate, cravatta di asparagi. Veramente buono, bravo chef.

Il dolce, preceduto da un sorbetto al rosmarino, non mi seduce. Una crema gelata di ricotta, delle arance tiepide, dei pop corn, e poi? A sì, una meringa di polenta gialla. Ogni cosa se ne andava per conto suo. A cominciare dalla ciotolina di vetro slittante nel piatto.

La piccola pasticceria invece propone tra gli altri uno squisito dolcetto (vedete quello con lo zig zag bianco sopra?) che inghiottito in un colpo, subito si fa acutamente rimpiangere. Ecco, la cena è andata così, su e giù.

Menù degustazione, di pesce, 116€ in due, con il vino, un Sauvignon del Collio che ora sfugge a Nunchesto.

Ci torneremo? Penso di sì, a provare il menu di carne. E poi per incoraggiare un tentativo di cucina di un qualche impegno in una bastarda Roma, che mangia solo, a caro prezzo, linguine mare-monti e misto di pesce alla griglia. La piccola brigata – troviamo all’uscita anche il cuoco, sulla porta, che medita sulla sera di maggio e sulla vuota via dei Banchi Vecchi – sembra una barchetta coraggiosa ma forse anche un po' timorosa tra i flutti delle perigliose onde dell’indifferente capitale.


Il Pagliaccio
Via dei Banchi Vecchi 129a
Tel. 06/68.80.95.95

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