venerdì 6 aprile 2007

FRANCIA. FRANCHE COMTE'. LEDOUX

















Claude Nicolas Ledoux , architetto e urbanista francese, nato a Dormans nel 1736, morto a Parigi nel 1806.

Attivo durante l’Ancién Regime, e per questo imprigionato durante la Rivoluzione, ma non per ciò meno operoso. In questo ultimo periodo, infatti, scrive un’opera monumentale, accompagnata da incisioni, sul suo ideale di architettura. Così liberamente folle, da indurre a guardare con qualche sospetto il suo autore finché non si è deciso che è un ammirevole precursore e un modello.

Pazzo senz’altro: abbiamo visto la sua maggiore realizzazione sopravvissuta, le Saline Reali di Arc-en-Senans, spirare da ogni pietra siderale genio e surreale sprezzo dell’umana realtà. Per dirne una: gli operai delle saline avrebbero dovuto, in edificio degno del cadavere di un imperatore per simbolica monumentalità, scaldarsi e cucinare attraverso un unico immenso centrale camino, che avrebbe suggerito la concordia umana e insieme l’unità, la non frammentarietà dello spazio. E così via.

Non si può negare che l’insieme è di massima suggestione, specie in un deserto, nitido mattino di aprile.

Bellissimo il museo, ove del folle, del quale sono tombata amorosa, si ammirano il gilé e numerose maquettes e incisioni. Per farvi un’idea: la casa rotonda con cerchi è quella dei bottai. Quella attraversata dall’acqua è quella del direttore del flusso delle acque del fiume eccetera. Tutto questo insieme di edifici avrebbe dovuto completare, facendone una città ideale – anche di questa c’è maquette, guardate - il nucleo effettivamente realizzato di officine, case degli operai e dei dirigenti di Arc-en-Senans.

Innamorata, dico; del resto, prodromi si ebbero al museo Carnavalet, a Parigi, dedicato alla storia della città, ove si conserva il decoro di un caffé, il Café militare, sua prima opera. Una specie di serti di armi in bassorilievo, alla Piranesi, elegantemente scolpiti in oro su bianche pareti, destinati con allori ed elmi appesi a evocare il riposo del guerriero. Curiosissimo: lì l’accoglienza offerta agli umani è massima, e desidereresti quanto mai che quel caffé ancora ci fosse, per sederti, stare, ciarlare, sorbire. Certo, irritato risveglio ricorda che come dama non avrei potuto mettere piede in ricovero di ufficiali.

Che ci facevamo là? Ma è dalle parti di Besançon, ovvia. Che ci facevamo a Besançon? Tentai giustificazione nel post precedente, cui rimando.
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