Dopo il vento mattutino la barca dondola pesante sotto il sole del
mezzogiorno e si riempie di luce; faccio in tempo a vedere uno spicchio
di trasparente luna tuffarsi dietro una cima ossuta; le cicale vanno
sulla brulla pietraia costellata di arbusti. Nella traversata abbiamo
incontrato le stesse onde molto blu, nervose, crestate di bianco, che un
paio di anni fa tanto ci sballottarono e su cui gli opimi fianchi di
questo cacicco vanno indifferenti e maestosi. Qui il mare si distende
verdazzurro e sornione su un fondo turchese.
Entro lo scarrupo ogni tanto pervicaci alberi dalla chioma assai ben
tagliata dai venti contrari; spettatori abbarbicati a un tosto
anfiteatro ove il vento meno rovina, che attendono nelle bonacce le più
emozionanti tempeste.
Sulla spiaggia, ai piedi di una cascata di pietra pallidamente color
pomice su cui dure erbe a ciuffi gialli e verdi tentano la vita, trovo
sassi in cui perdersi scritti con l'alfabeto morse. Forse da uccelli,
forse da onde, forse da pesci. Ne ho portati due, dove si legge ora una
cosa, ora un’altra.
La cucina manda odore di melanzane fritte, pura musica turca. Il suono
esausto delle cicale ondeggia sui sassi e arriva a graffiar dolcemente
le guance dopo essere passato sulla distesa di pomici. La sera verrà a
trovarci una libellula un po’ intontita da tutto quel salmastro.
La notte passerà in questo impercettibile dondolare, nell’alba ancora
oscura gran scampanellio di capre mentre la costa è ancora avvolta in
scure brume; sbircio dall’oblò socchiuso: null’altro che un’onda di
ombre mobili; il suono entra come ondata vibrante e delicata in cabina e
avvolge a lungo tintinnando. Tutto il monte ha risuonato, a lungo, di
palpitanti campanelli; sembrava un grande cuore pulsante. Cuore caprino.
Con la luce appare accanto alla riva uno stazzo molto marino, dove si
passa la notte con la coda a bagno; dopo un po’ il pastore aggrondato di
quel gregge invisibile attraversa la costa a gran passi.
Punteggeremo le costole della montuosa Kalimnos di soste in zone
deserte, ora in una piccola baia ora in un’altra; brevissima la sosta
nell’incasinata Pothia, il porto; nessun giro all’interno.
2 commenti:
Il canto delle sirene non potrebbe essere più allettante, ma le pietre, quelle pietre. A che pietre!
cuore caprino
i sassi come archivio
ché vita morde
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