venerdì 23 luglio 2010
EBRIDI ESTERNE. LE CENE DELL’ARDHASAIG HOTEL
Facciamo una premessa. Se volete farvi un’idea dei una gourmandise propria delle Ebridi esterne, eccovene una: a Ness, una comunità di origine norvegese di circa mille persone abitanti in sedici piccoli villaggi che si trova all’estremità nord occidentale di Lewis (con ciò diventando la comunità più a nord ovest di tutta l’Europa), sono pregiatissimi i pulcini dei gabbiani, detti gugas. Ogni anno, a fine agosto, dieci avventurosi uomini di Ness si imbarcano e si spingono nel periglioso oceano per molte miglia. Raggiungono un’isoletta rocciosa, del tutto impervia e disabitata, Sula Sgeir, quindi si arrampicano a rischio della vita sulle rocce verticali, stanno lì appesi un paio di settimane, acchiappano migliaia di poveri gugas, e se ne tornano a casa. Questo sfizio se lo levano da un bel po’: una delle prime testimonianze sulle Ebridi, scritta da un viaggiatore nel 1549, testimonia che lo facevano proprio come ora, e si suppone che la cosa durasse già da parecchio tempo. I gugas erano pregiata leccornia anche sulle tavole dei re scozzesi del sedicesimo secolo, e la domanda è tuttora superiore all’offerta.
Due parole sull’hotel. Piccola casa - grande in verità per le isole - uguale a molte altre. Le vecchie black houses sono state appena un po’ arricchite nello spazio e impoverite nei materiali: non più muri di pietra, non più tetti di paglia. Come tutte le altre, gode pure di uno strepitoso panorama su un frastagliato, silente, profondo golfo, sul quale si affacciano le quattro case del villaggio, sparse sul declivio, distanti l’una dall’altra.
Qualche aquila può volare nel suo cielo, i tramonti possono essere esagerati, un peschereccio è all’ancora. La giovane proprietaria è anche cuoca di una certa fama sull’isola e ha un caro ristorante che non conosce mezze pensioni, per cui non sempre abbiamo mangiato lì, e per fortuna la vicina Tarbert ci ha soccorso dandoci alternative.
Voi che avete già la sacca da viaggio in mano, scolpitevi nella mente queste notizie: queste isole, come tutti i posti estremi, sono care; inoltre i ristoranti possono essere così distanti da voi da farvi passare la voglia di andarci. Tarbert, con i suoi tre posti per mangiare fuori, di cui vi dirò, è una Città. La seconda dopo la lontana Stornway. In alternativa a un hotel, molti sono i cottage in affitto per le vacanze e potete cuocervi le vostre uova, ma se non avete galline, sappiate che anche i negozi sono rari e dispersi.
Ecco il menu dell’albergo della prima sera, per 44 sterline a persona: una crema di verdura non identificata di cui è stato apprezzato il bollore visti i freschi del nordico aere, una mezza aragosta con una salsa asprigna alla frutta, un filetto con una salsa al formaggio, verdurine preziosissime (non pensiate che qui tenere un orto è come nella penisola sorrentina), una créme brulée con le more, un té con alchechengi al cioccolato. Dei piccoli panini caldi alle noci, e – dimenticavo - come amuse bouche due canapé: uno pareva di granchio, l’altro era con un paté di fegato dal sapore un po’ forte. Si tratta, come vi dicevo, di una delle cucine migliori – o presunte tali – delle isole. Certo, qui tutto sembra frutto di uno sforzo maggiore che altrove. Sforzo culturale, di approvvigionamento. Ogni cosa è più estrema che nelle pur vicine e già così insulari Sky o Mull. Per esempio, come non ricordare la grande eleganza di Tiroran House a Mull? Ripensarla oggi accostandola a Ardsaig ci fa capire che Mull è già Londra (eppure la signora cuoca e padrona di Tiroran aveva la faccia appesa come un’esiliata nel pensare nostalgicamente alla sua Londra dei soggiorni invernali, mentre era impegnata nel suo lavoro estivo nella bellissima, elegante casa della famiglia del marito nel paesaggio da sogno assoluto di Mull). Be’, qui siamo molto “più in là” di Mull. E la nostra ospite a Londra non ci pensa proprio, credo che le sia estranea come il Cairo. Lei è di Harris.
La sera dopo, di nuovo costosissima cena in hotel. Dovremo fare astinenza per recuperare la decenza. Dapprima due crostinetti, uno al salmone l’altro di prosciutto e lamponi, poi una crema di spinaci e semi tastati fragranti (bell’idea: appena saltati in padella secca). Assai più meritevole della crema del giorno prima, quindi un crab deliziosamente fresco con una salsa “americana”, una delicata insalatina ottimamente condita, poscia uno di quei polputi pesci atlantici appena sauté con tutta la pelle – un filettone – una gigantesca capasanta che quasi non riconoscevo e una mezza albicocca cotta nel cui cuore si annidava una cucchiaiatina di caviale. L’acidulo della prima sbaragliava il secondo. Infine una crema di nocciole e lamponi che mi ha portato a riflettere che forse questo frutto, unico oggetto del mio ostracismo alimentare, la smetterà di essere bandito. Ci devo pensare. Mi rendo conto che mi è stato – mi sta? – antipatico (!). Mah…
La piccola cuoca è assai ciarliera e cordiale, ed è da subito nostra tutrice.
Dalle finestre della nostra stanza si vede una baia con una cultura di pesci, c’è un prato con mucche, qualche casa. Infatti non pare, ma questo è un villaggio. La mattina del sabato due conigli selvatici ben pasciuti si nutrivano nel ricco prato e un piccolo stormo di uccelli scuri dal volo morbido, alquanto rotondi, passava e ripassava davanti ai vetri, qualcuno sfiorandoli, o se ne stavano sulla staccionata. Nell’acqua, qualche battello. Ma, sarà il sabato, tutto sembra fermo qui.
La mattina il cielo è pieno di nubi. Tutto tace, come sempre e come temo che la domenica più che mai sia. Anche gli uccelli sono silenziosi, appena un “pio”, e basta. È bello come qui si possa desiderare il terribile sole, dal quale si fugge e si teme di essere trafitti al sud.
Ardhasaig Hotel
PS: a proprosito del cucinare uccelli marini, vi indico, non per farvi venire l'idea mi raccomando, ma così, per il gusto della letteratura, come Jules Verne consiglia di cucinare una berta.
Foto di Nunchesto.
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