martedì 20 aprile 2010

BORGOGNA DEL SUD. CHATEAU D'IGE'. IL RISTORANTE.









Siamo nel ristorante dello Château d'Igé, nel Mâconnais, Borgogna del sud, in un piccolo villaggio di vigneron alquanto sonnacchioso al centro di una regione bellissima ricca di chiese e castelli che nel tempo siamo andati visitando, ora l'uno ora l'altro, a partire dalla celeberrima Cluny - o ciò che ne resta.

Nella veranda che dà sul giardino prendiamo un bicchiere di vino e gli amuse bouche, di cui parlerò diffusamente in un post ad hoc. La cena prosegue in una piccola stanza dalle vellutate pareti blu scuro, che la volta precedente - siamo stati già due volte in questo ristorante, negli anni passati - sbirciavo, curiosa di tutto, dalla stanza accanto. Ce n’è un'altra con le pareti rosso fiamma, una alla base di una torre dalle pareti di pietra dove entra un solo tavolo tondo, e una pure tutta di pietra dominata da un enorme camino che sembra volerti inghiottire in un sol boccone, quella della nostra cena precedente, nella quale ci dedicammo al menu di cucina borgognona - una delle glorie dello Château - e assaggiai la prima volta le oeufs pochés en meurette che poi riprodussi.

Questa volta scegliamo diversamente: una vellutata di castagne costellata di scaglie di castagne il cui interesse risiede nell’avere al centro un fondente budino di cipolle sormontato da un cappuccino di fois gras e un fiore di borraggine in cui il cucchiaio può morbidamente scavare (il piatto avrebbe avuto bisogno di un elemento di contrasto, era tutto troppo morbido e liscio anche nei sapori, ma l'idea era bella), e degli squisiti verdi ravioli la cui farcia era un’escargot, che così può essere mangiata anche da chi non ama cavarla fuori dal suo guscio, con funghi e brodo di pollo (siamo vicini a Bresse, ricordiamolo, e ovunque ci sono polli in brodo come in ceramica) e una crestina di erbette.

Poi abbiamo mangiato un agnello fondente, se mai la parola fondente disse qualcosa, che mostra tutto il vantaggio di cuocerlo per otto lunghe ore (si trattava del souris, la parte terminale della coscia, la più tenera, cotta con la salvia e accompagnata da una mousseline di patate dolci e una samosa di funghi) e infine un soufflè davvero fatto di nulla, nuvolette e grand marnier; quello stesso al quale pensavo dalla mia visita precedente, quando mi aveva così preoccupato averlo strappato di bocca a un notabile locale cui Madame, la proprietaria dell'hotel, ci aveva presentato mentre quello lo stava gustando, e che aveva ritenuto indispensabile metterlo da parte con finta indifferenza. Il souffé era accompagnato da un sorbetto all'arancia. Taccio di un piatto non indispensabile, un formaggio tiepido, il borgognone charollais di capra, su crostino di pane ai semi di zucca accompagnato da una quenelle di confettura di rapa rossa e lamponi.

Di fronte a noi un giovane viaggiatore solo, la carta della regione alla mano, andava gustando tutto con l'aria coscenziosa di chi "si sta facendo una cultura"; forse ha un blog - ma la macchina fotografica non appare - forse diverrà uno di quei gourmet rompiscatole che danno i voti ai piatti; intanto ci fa compagnia in questo ristorante apprezzato per una cucina anche tradizionale, di territorio, dove si possono mangiare, come noi abbiamo fatto un'altra volta, montagne di cosce di rana fritte e dove lo chef Olivier Pons (in questo link, anche tutti i menu del ristorante) tiene pure corsi di cucina.

Con mia ferma disapprovazione, ho dovuto sottostare a un ambiente pieno di ombre, dove già l'occhio lottava con le brume, figurarci la macchina.

Vino, un bianco - siamo nel Mâconnais - Domaine Fichet Mâcon Villages La Crépillionne, Chardonnays 2008.

2 commenti:

  1. non so dove scrivere un commento.. tre post uno più bello dell'altro!!! Praticamente e semplicemente sono senza parole: credo di sognare ad occhi aperti, anzi spalancati.. leggendo una splendida avventura comodamente spatasciata sul divano. Grazie Artemisia per i tuoi racconti.
    Clelia

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