giovedì 29 novembre 2007

AUSTRIA. SALZKAMMERGUT. ST. WOLFGANG. PACHER ALTAR.















Puntiamo su un altare gotico, partendo in barca da St. Gilgen. Nuvole, pioggia, giacca a vento. Il lago è corrusco. Approdo in un piccolo paese meta di pellegrinaggi religiosi e musicofili (sul lago sporge il famoso albergo che ispirò l’operetta il Cavallino Bianco). La piccola chiesa è densa di pie testimonianze di ricchi abati che nei secoli non smettevano di commissionare pulpiti, altari, santi, tabernacoli. Se su tutto spicca il mirabile Pacher Altar del quale si può senz’altro dire che vale il viaggio, tutta la chiesa è densa di bellezze; per lo più barocche, incluso un altro bell’altare.

Il Pacher? Una macchina, densa di sportelli che aprendosi e chiudendosi celano e mostrano scene scolpite e dipinte, santi, madonne, a seconda della bisogna dell’anno liturgico. Architettura, scultura, pittura strette in un unico laccio dall’artista tirolese che tutto padroneggiava. Immaginate il lungo viaggio dell’altare, e per monti e per barca, da Brunico e quassù.

Impressione? Di un vibrare, un rifrangersi, un moltiplicarsi di luci e di spazi. Lo spazio ora diverge, ora implode; si moltiplica come in opera cubista. L’infinito è la moltiplicazione e la divergenza, piuttosto che il lineare aereo gonfiarsi ed espandersi cui spesso ci abitua l’arte italiana. Un dipinto italiano può lanciarci nello spazio, in quest’opera può darsi io sia rimasta in nascosto anfratto, in perso cubicolo o cunicolo.

Praticamente non fotografabile; accontentatevi. Dirò che la mia foto non è peggio delle reperibili su web.

Per il resto, suggestioni barocche. Patetiche, colorate, seducenti.

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