martedì 24 aprile 2007

EMILIA ROMAGNA. VALLI DI OSTELLATO. LOCANDA DELLA TAMERICE. MATTINA.































Alla sera nel prato davanti alla stanza della Locanda della Tamerice passava, filandosela quatta tra l'erba, una coppia di anatre non identificata, ma certo un maschio molto colorato e una discreta femmina. Al risveglio, due gallinelle d’acqua vanno infilandosi tra i cespugli. Sole che sorge, lunghe ombre di alberi. I cigni sono sempre lì, ali aperte al nuovo sole dopo notturne brine. Più tardi li abbiamo visti volare via a collo teso: basta con la Locanda.

Mi infilo anch'io tra i cespugli, sui sentieri che attraversano ciò che resta delle valli del Mezzano, bonificate in gran parte negli anni ’60, quindi fiancheggiate da ampie culture di una quantità di ortaggi che alimentano la tavola della Locanda, e oggi tutelate come parco naturale. Grande area di sosta o nidificazione di ogni tipo di uccello. Le tamerici sono in fiore; se non le conoscete, sono quegli allungati piumini rosa. Frulli d’ali, cinguettii, trilli e canti molto vari da invisibili ospiti di fronde spesso in fiore. Qualcosa si tuffa nell’acqua al mio passaggio, ripetutamente. La mia testa si avvolge di ragnatele, tese a ogni ramo, che la mano scaccia e subito si riavviluppano. A un certo punto della passeggiata si intravede la Locanda, tra acqua e canne.

Quando esco dal dedalo, mi decido a pagare il biglietto che l'oasi prevede: meglio tardi che mai. Trovo un baracchino con un vecchio signore svagato che inizia a riempire laboriosamente un modulo su un taccuino, e che alla mia domanda su cosa potessero essere quei tonfi nell’acqua che suonavano come tuffi di signora grassa, ha un imprevisto lampo negli occhi repentinamente sollevati verso di me e fa: forse topi! C’è di tutto qua, aggiunge. Anche ciò che non vorremmo. Mentre scrive e scrive di nuovo a testa china, continua filosofeggiando su come tutto debba convivere, e qui, a Ostellato, conviva. Più tardi vedo nella valle prossima alla Locanda un fitto rigirarsi di grosse carpe nell'oscura acqua accanto alla riva, che escono a dorso ricurvo per subito reimmergersi avvolgendosi.

Nel temuto villaggio turistico si sta allestendo un mercatino: operosi venditori tirano su banchetti, appendono orecchini a trespoli, aggiustano sciarpe, mettono giù sul selciato orripilanti vasi enormi e pieni di incongrui buchi di cui una mattiniera signora accompagnata da amiche va già dicendo: però, nel giardino, poggiati qua e là, pensa che belli! Si vendono tute mimetiche da guerra, che suppongo qui vengano indossate da osservatori di uccelli. Ricordo come mi presentai agli innumerevoli uccelli di Rost, in Norvegia: in pantaloni rossi e giacca gialla. Mi riconcilio con il villaggio; ha un'aria domestica, ingenua, forse innocua.

A colazione è lo chef che ci serve, chiacchierando: Rane? no, non ce ne sono più. Ci dice che un certo gambero per altro immangiabile, messo nelle valli per contrastare non ricordo più cosa, ha fatto fuori una quantità di pesci e animali che prima prosperavano, tra cui le rane e il pesce gatto. Coccodrillo? Ridacchia. Sì, lo ha servito nella Locanda, con imprevisto successo. Lo aveva proposto nel ristorante per gioco, in seguito a una prova fatta durante una “cena estrema” organizzata con gli amici di Slow Food, ed era piaciuto. Quello selvatico, però, che sa di rana – penso a queste immense scaloppe di rana – mentre l’allevato è una sorta di pollo.

Rievochiamo con lui rane francesi: quelle di George Blanc, messe a confronto con le altre, inimitabili, cherubineo aglio e crema di prezzemolo, di quel disgraziato di Bernard Loiseau, che vinceva senz'altro la palma. Ma Loiseau lo abbiamo conosciuto prima o dopo la perdita della stella, ci chiede. Prima, prima. Ma gli occhi bui ce li aveva già. Ah, questo cavolo di stelle! Lo chef ricorda a sua volta francesi giri gourment: Blanc? Troppi grassi. E già, la cucina di Corelli, lo dicevo, si distingue per una sapida lievità davvero speciale.

Ci complimentiamo con lui per la gestione della sala, mentre arriva la sommelier in mattiniera tenuta rosa da ragazza. L'accogliente atmosfera è animata dalla cordiale, semplice simpatia dello chef. Ci concediamo un pettegolezzo su un alquanto noto ristorante romano, mi pare anche stellato, dove un eccesso di brillantine e forzati inchini e sorrisi, unito a una cucina sorprendentemente priva di senso nei suoi tentativi di piattini costruiti - ricordo una gelatina e un boccone di qualcosa in fondo a un profondo e stretto bicchiere che avrebbe richiesto un becco da gru - ci avevano sconfortato.

La colazione è una imprevista pioggia di dolci. Creme, millefoglie, dolcetti. Be’, perché no? Fa un certo effetto di festa, di allegra scostumatezza. Grande attenzione per il caffé. Una marmellata di mele, marmellata che in genere rischia la stupidità, si rivela ottima e sorprendente. Semplice e sapida, un insieme di mollezze e improvvise consistenze perfetto. Quali mele? Come è fatta? Domande taciute, che restano senza risposta.

Che mi porto via? Guardo in un piccolo angolo di cose in vendita, non molto curato: mancano, se non mi sbaglio, i libri dello chef - so che ce n'è sulle zuppe: piatto che promette infiniti bellezze e sapori - e c’è un misto assemblaggio di cose un po’ incongrue. Una scatola mi colpisce per bellezza e pertinenza: almeno ha a che fare con Comacchio: pasta di acciughe. Sarà mia. Lo chef mi spiega che è curata dall’amico Moreno Cedroni, nel gusto come nel design. Ma insomma – chiedo - come sono queste acciughe? Non male, risponde quello. Meglio, dopo l’intervento di Cedroni. Ma poi, se le ho messe in vendita, pessime non saranno, no? (signora mia) .

Amici: un amico molto presente è Tonino Guerra, con disegni e sculture.

Si prospettano ritorni, magari per la scuola di cucina. Anche Nunchesto sogna partecipazioni, pensate un po'. A maggio ci sarà una giornata dedicata al barbecue. La mia prima risposta è un arricciar di naso e un digrignar di denti. Puzze, sole che picchia, vento che soffia, fumi, bruciacchiature, attese, tutto si presenta al mio cuore affranto. Lo chef manco si offende - vi ho detto che è simpatico - e con poche, miti parole mi fa intendere che non è mica americano. Sta parlando di barbecue esperti e probabilmente squisiti. Accenna a coperchi, a particolari griglie, e ricordo di aver intravisto, ieri sera, attraverso la finestra che dà sulla cucina, un gran coperchio nero con cerniera che deve appartenere a simile attrezzo. E poi - magistrale insegnamento - aggiunge: provare, provare, provare, fin che ciò che si fa non riesce (signora mia di nuovo?).