venerdì 8 gennaio 2010

SIRIA. APAMEA. LA VIA COLONNATA. OPPURE: LA NEBBIA SI ADDICE AI FANTASMI.



















Apamea ci si è presentata fittamente velata di nebbie, tutta avvolta in un seducente burka che rivelava e nascondeva. La sua famosa strada colonnata lunga due chilometri, che lenti scavi vanno riesumando, appariva a tratti, risorgendo e riaffondando in un mondo perduto, e i vapori che offuscavano l'apertura degli archi e delle porte evocavano intensamente molteplici fantasmi, divisi dalle guerre e dal tempo, ma tutti convocati e riuniti dalle nubi.

Appariva tra i grigi il pallido avorio di Apamea stessa, principessa persiana del III secolo a.C., con il suo frusciare di sete cilestrine e tintinnare di perle nere, sposa di Seleuco I Nicatore, fondatore della città. Una delle molte città che Seleuco, in una fantasia tribale che sarà ripresa secoli dopo da Napoleone, andava creando dando a ciascuna il nome di un suo parente e prossimo, per fissare con qualche chiodo infitto qua e là la troppo vasta tela del suo regno, ereditato dal frantumarsi di quello di Alessandro.

Nè mancava lui medesimo, il Nicatore Vittorioso, la testa dai tratti marcati, i grandi occhi spalancati deliranti campi di battaglia e la chioma a ciuffi bellicosi ereditata dal suo generale, Alessandro.

Appariva il freddo volto dal naso lungo, le pesanti guance e la bocca sottile del grande Traiano severamente paludato nella sua armatura imperiale, colui che si spinse più a est e che riedificò la città dopo una delle sue molte distruzioni, e al quale i ruderi che restano appartengono.

C'erano gli spettri, stracciati dalle molte avventure di guerra e dal logorio del tempo, dei cavalieri persiani dalle lunghe brache lanciati al galoppo, memori dei tanti assedi cui avevano sottoposto la città; c'era quello brigantesco di Tancredi, traditore dei bizantini e crociato, che la include nel principato di Antiochia; c'era quello vestito di porpora e oro di Nureddin, il principe dai nobili baffi, coraggioso, pietoso e modesto, fondatore di un'effimera dinastia turca che nel 1149 riprende Apamea entro i possessi mussulmani, dotandola di moschee e caravanserragli.

Ma su tutti c'era il fantasma terribile e possente del terremoto che infine la atterrò e spopolò, pronto a riscuotere, in un giorno imprevisto, i grandi sassi che tante volte aveva atterrato con gusto.

La pianta delle rovine e qualche nota sulla storia della città, qui.

4 commenti:

  1. le tracce dentro la nebbia sono più visibili ancora col supplemento di altri occhi e con l'emozione del sognarle

    RispondiElimina
  2. sapessi come erano fitte, quanti occhi dietro le colonne, in fondo ai corridoi di vapori!

    RispondiElimina
  3. Totalmente assorta nella lettura, nell'entrare e uscire dalle immagini, mi sono accorta a un tratto di avere il cuore in gola.
    orsy

    RispondiElimina
  4. orsy, ero certa che sapessi veder fantasmi.

    RispondiElimina

commenti