martedì 1 maggio 2007

GIAPPONE A ROMA. RISTORANTE HAMASEI.










da Artemisia Comina

Per dirvi quanto amiamo i ristoranti romani, vi confideremo che da quindici anni – almeno – l’unico ristorante romano in cui andiamo regolarmente è Hamasei, il giapponese.

Ricordo il cameriere biondo che amava dipingere all’acquerello e ci proponeva complice alleanza, supponendo ne avessimo bisogno nei confronti di tutti quei giapponesi e di quel curioso cibo, e le camerierine occidentali e paffute infagottate nei kimono. Non ricordo invece di mode sushi quando iniziammo a mangiarne lieti, alla fine di una mattina di compere “in centro”. Sushi che da allora è la passione di Nunchesto.

Ma c’è anche l’ottimo Sukiyaki, dove sottili fettine di squisito manzo tenero e venato di dolce grasso bianchissimo, i quadrotti di tofu, gli ito konnyaku (una specie di spaghetti), la cipolla fresca, il cavolo cinese, i funghi vengono bolliti al tavolo dai commensali in una bassa pentola di ferro, in una miscela di salsa di soia, zucchero e mirin (una sorta di sakè); prima di mangiare ogni boccone, lo si immerge nell’ uovo crudo servito in una ciotola a parte. Uovo che pare terrorizzi gli occidentali, tanto che l’ultima volta stavamo rischiando che non ce lo portassero, senza neppure chiederci, ma solo guardando le nostre nasute e bianche facce occidentali. Invece, come è ovvio, ci vuole proprio: fatevelo portare.

Un altro ottimo piatto, ma quello lo prendo solo io, amante di zuppe, sono gli spaghetti verdi nel brodo caldo. Una ciotola immensa per affamati freddolosi. Ricordo un bel film, Tampopo, dove una cuoca approssimativa e proprietaria di una taverna poco e mal frequentata, Tampopo, con l’aiuto di un camionista e vari altri angeli si mette all’opera per fare gli spaghetti più buoni della città e infine ci riesce.

Con questi piatti si può bere la buona birra giapponese Sapporo dai bellissimi, alti barattoli argentei, o l’ottimo tè verde.

Hamasei non gode del favore delle italiche guide. Pare venga considerato più in e cool e trendy e di tendenza Hasekura. Dove siamo andati due volte e probabilmente non torneremo più.

Il primo è un ristorante molto giapponese, con molti giapponesi; il secondo un “ristorantino” condotto da una coppia italo-giappo. Come si capisce, preferiamo la cucina del primo, anche se nel corso degli anni il ristorante è stato soggetto a ondeggiamenti e variazioni dovute a cambi di personale ultimamente alquanto frequenti, che influiscono sia sulla sala che in cucina, specie sul pesce crudo. In questo momento al sushi sono dedicati cuochi che mi convincono meno dei precedenti, mentre la sala sembra aver ripreso una certa guida dopo uno sbandamento dovuto all’ingresso di una signora che non sapeva granché condurla. Un sabato affollato siamo arrivati al punto di andarcene senza mangiare, successivamente a una lunga e nervosa attesa, durante la quale erano stati serviti da scapestrate e disorientate cameriere tre tavoli arrivati dopo di noi. Ma forse i sabati affollati bisogna evitarli dovunque e comunque e questa è stata l’unica volta che abbiamo avuto da ridire.

Abbiamo anche provato un allora nuovo e già molto rumoroso e incasinato ristorante giapponese, Sushisen, al Testaccio, vicino al cimitero inglese, con piatti per noi inediti, ma anche non seducenti per una sorta di confusione di ingredienti per nulla giapponese e mal presentati entro orripilanti contenitori di legno definiti "barche". Costoso, in modo assai discordante con le subite trasandatezza e malagrazia.

Quanto ai costi, nessuno manca di sottolineare che Hamasei è costoso. C’è qualcosa che non mi convince: analoghi ristoranti occidentali, anche di maggior prezzo, non vengono per ciò criticati. Sarà che con la cucina “etnica” ci aspettiamo sempre prezzi bassi?

Conto sui 40€

Hamasei
via della Mercede, 35/36
tel. 066792134

Hasekura
via dei Serpenti 27
tel. 06 483648

Sushisen
via Giulietti, 19/B
tel. 065756945



Quando andate da Hamasei, prima di entrare, o appena siete usciti, alzate il naso: vedrete la massa curvilinea e potente, in movimento, della cupola e del campanile di Sant'Andrea delle Fratte, del sempre incantante Borromini. Massa di ruvidi mattoni in preda a simmetrica tempesta, slancio missilistico di marmi bianchi. Con su degli angeli ad ali giunte che somigliano a sante cicale sull'albero. Guardateli.