venerdì 23 aprile 2010

FRANCIA. IL MONASTERO REALE DI BROU. IL CONVENTO.





Gotico fiammeggiante, si dice per raccontare di questo gotico ricco di pinnacoli che si attarda prima di essere spinto fuori gioco da rinascimento che arriva dal sud con i suoi archi arrotondati e la memoria dell'antico. Margherita, la rosea, venticinquenne arciduchessa di sangue e cultura internazionale che fa erigere la chiesa e il monastero di Brou per seppellirvi se stessa, il marito e la suocera conosce bene gli architetti e gli artisti fiamminghi, ed è in grado di scegliere tra loro quelli che meglio sanno tirar su una grande chiesa luminosa dai vasti finestroni, sorretta da alti pilastri, dotata di portali ricchi di girali e fiocchi di pietra, elaborate chiavi di volta, di un coro amplissimo in cui vanno le ricche tombe e di ben tre chiostri, fatto abbastanza eccezionale.




Ha visto in Spagna, dove è stata per un breve sfortunato matrimonio che dopo pochi mesi l'ha lasciata vedova di una vedovanza che precede quella che adesso va celebrando a Brou, gli immensi e ricchi conventi che sono al tempo stesso palazzi reali e ne fa fare uno per sè, anche se la vita non la porterà mai ad abitavi. Il primo chiostro, il più esterno e il più piccolo, quello dove adesso fiorisce una bianca magnolia è quello dei suoi appartamenti.






Da quello si vede risplendere, sotto raggi di sole che irrompono dopo parecchie ore di nubi e un'aria velata di piovo - non piovo, la distesa dei tetti a punta dalle tegole orientali e colorate, bizzarramente simili a un tartan, che il restauro della fine degli anni novanta del secolo scorso ha restituito alla chiesa dopo un paio di secoli di carpenterie raccorciate alla Mansart e di tegole buie, dovute prima alla tirchieria o all'effettiva povertà dei frati che abitavano il convento, poi all'incuria che anche qui aveva seguito la Rivoluzione. E già gli era andata bene, alla chiesa, di essere stato presto dichiarato monumento di interesse nazionale, cosa che non aveva impedito la distruzione di alcune capelle e un'uso mortificante del convento, ma che aveva complessivamente salvato l'opera.



Accanto a questo, in una posizione più interna rispetto all'ingresso, il chiostro più grande, quello dei monaci Agostiniani chiamati a occuparsi del convento e della chiesa, destinato a un uso meno pubblico.

Più defilato ancora, il chiostro di servizio, con il pozzo, su cui danno le cucine, le latrine, la prigione, la biblioteca, l'infermeria. Vi invito a riflettere su tale assemblaggio, funzionale e concettuale. Qui lo stile cambia, da nobile si fa domestico, e l'architettura viene affidata a maestranze locali, che diminuiscono l'uso degli archi e con loro quello della costosa pietra. Il pavimento è acciottolato, antico e venato d'erba, l'aria improvvisamente remota. Se qui ancora ci sono fantasmi, certo scelgono questo chiostro.


Al piano superiore le celle dei monaci, molto ampie e ricche, che fanno pensare che finchè ci fu il denaro ci fu una vita assai agevole e in cui oggi c'è il museo di Brou, e un corridoio illuminato da una magnifica lanterna di pietra.




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