giovedì 31 marzo 2011

ROMA. GHETTO. SORA MARGHERITA.







A volte penso che Roma in cucina paga uno scotto al folklore stereotipato troppo alto. La mistica della carbonara e degli aò stucca. Ma come non rammaricarsi ove sparisse ogni cultura locale? Fatto sta che la stessa tradizione va inventata, sempre, tal quale la più nuova novitá.

Quando il perfido Nunche è uscito da questo locale dove siamo stati con Dolcesca e Marco ha detto, da veneto preso dall'allergia agli aò: Il Meo Patacca dei poveri (e con ciò non sto dicendo che apprezzi Meo Patacca). In effetti c'è un certo eccesso di colore, di romanità da vicolo, fiasco di vino, sora qualcosa, da bullo indeciso tra trippa e bicipiti. Mentre all'accroccato tavolo accanto al nostro, tutti in fila nello stesso budello stretto in cui si entra varcata la famosa porticina invisibile celata dallo scacciamosche rosso, cenava una famiglia di ebrei americani, guida alla mano, dove soprattutto i più giovani sembravano parecchio indecisi se apprezzare il molto saporito colore locale o rimpiangere la cena in casa.

Per altro venimmo per i carciofi alla giudia, meritata gloria del ghetto di Roma, e su quelli non c'è nulla da ridire e molto da festeggiare. Sono buoni, e di questi gonfi di primavera e privi di spine ne mangeresti anche più di uno.

Poi ci abbandonammo alla romanità per altro qui inevitabile, accompagnata da un bianco della casa pure poco evitabile (sospetto che la malmostosità nunchestica derivi anche da questa strettoia).

Io un cacio e pepe con fettuccine fatte a mano. Callose, ha apprezzato Dolcesca. Callose e rustiche, dico io, e non so se adattissime a un cacio e pepe, per altro piatto veramente difficile a farsi. Qui il cacio restava alquanto sulle sue e non si fondeva con l'acqua di cottura che restava sul fondo del piatto, mentre il pepe era macinato troppo finemente.

Il Nunche fettuccine con sugo di coda, Dolcesca rigatoni con paiata (ho affondato la forchetta nelle une e negli altri e non mi parvero male), Marco pasta e ceci che ha molto apprezzato. Quindi del baccalà fritto un po' sarcofageo, con la coccia alquanto tosta e il dentro alquanto asciutto e un tortino di alici e carciofi approvato.

Ho concluso con una torta ricotta e visciole, altra gloria della cucina ebraica romana, per cui non valeva la pena di ingrassare (qui una versione AAA che ho la faccia tosta di reputare migliore).

Per avere un'idea di come si fanno i magnifici carciofi alla giudia, vedi laboratoriocingoli.

Sora Margherita
Piazza delle Cinque Scole 30
tel. 066874216

Fate un giro intorno: il ghetto è bello.

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